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L’Osteomielite

Una Premessa

Chi contrae questa patologia nel 90% dei casi ha una lunghissima pausa lavorativa, sia per le lunghe terapie, sia per le lunghe degenze e in altri casi, restando motulesi il deficit fisico obbliga ad abbandonare il lavoro.

I centri che si occupano del trattamento specifico delle infezioni osteo articolari sono molto pochi e logisticamente ubicati al nord, pertanto è palese che i viaggi della speranza sono l’unica soluzione per chi non gode di una ottima solidità economica; in questo modo viene negato il diritto e la possibilità di curarsi, è stata considerata la possibilità di annoverare tale patologia tra le malattie invalidanti.

Le fonti di informazioni relative agli studi epidemiologici e le indagini statistiche più citate sull’incidenza del fenomeno riportano dati allarmanti: ogni anno in Italia si praticano molte migliaia di interventi di chirurgia ortopedica e traumatologica (oltre 200mila).

Di questi, secondo le statistiche, l’ 8% di quelli di elezione ed il 6% di quelli in urgenza va incontro ad un’ infezione più o meno profonda, processo infettivo più o meno grave che nel 50% dei casi tende a cronicizzare. (dati pubblicati dal GISTIO e SIOT – 1999).

Questo significa annualmente almeno 20.000 nuove infezioni croniche di interesse ortopedico, 32 per 100.000 abitanti.

Se si considera l’impatto devastante che questa malattia generalmente ha sul piano fisico, sociale e della vita di relazione, si può pensare che ogni anno ottantacinquemila persone (tra pazienti e stretti familiari), siano coinvolti in questa tragedia.

Anche sul piano economico le cifre in gioco sono enormi.
Poiché il costo di una specifica procedura che sia complicata da una sepsi è di 3/6 volte quello della stessa procedura non settica (a seconda dei casi e se trattata in ambiente specialistico o no), si capisce come le infezioni ortopediche impegnino oltre il 32% del budget dell’intera ortopedia italiana.

Il problema attualmente è poco considerato, poiché le infezioni ortopediche sono complesse da trattare ed i pazienti con detta patologia rappresentano una categoria poco remunerativa per la logica di mercato, come per le industrie che producono materiale sanitario tipo protesi d’anca o di ginocchio.

Eppure i pazienti con infezioni ossee croniche sono prevalentemente giovani e, nell’economia sociale, sicuramente rappresentano un problema più significativo rispetto a quello di una persona anziana con problemi artrotici.

Cos’è l’osteomielite

L’osteomielite è un’infezione particolarmente grave dell’apparato osteo-articolare sostenuta dallo Stafilococco Aureo. Essa è la manifestazione più grave delle infezioni che possono verificarsi a danno della struttura scheletrica.

Non è una patologia nota alla collettività in quanto spesso sottovalutata a causa del suo decorso molto lungo: troppe volte la diagnosi non è precisa e la terapia altrettanto.

L’osteomielite si contrae normalmente in seguito a esposizioni di gravi fratture, ma un aspetto molto grave è costituito dal fatto che si contano 15.000 nuovi casi ogni anno in Italia e molti di questi vengono contratte in sala operatoria.

Da ciò si evince che questo super batterio necessita di molto più che la normale sterilizzazione convenzionale degli ambienti usati per operare.

Da un punto di vista sociale, poi, questa patologia è assai invalidante in quanto necessita, in gran parte dei casi, di una serie di interventi chirurgici (ortopedici, plastici, vascolari) che, allo stato attuale, non vengono eseguiti con la collaborazione intermedicale che necessiterebbero.

Tutto ciò comporta lunghissime degenze ospedaliere che si traducono in enormi costi sanitari e sociali. Inoltre le famiglie dei malati si vedono costrette a sostenere considerevoli costi privati per sopportare le ingenti spese di viaggio (i centri che si occupano di questa patologia in maniera specifica sono soltanto due in Italia) e di materiale sanitario per medicazioni, terapie farmacologiche che talvolta sono a carico dell’ ammalto perchè non coperte dal S.S.N.

E’ inoltre allarmante il fenomeno di propagazione di super infezioni a carico dell’apparato osteo-articolare proprio a causa dell’impiego di antibiotici sempre più forti che danno vita a batteri sempre più resistenti.

L’A.N.I.O. – O.N.L.U.S. ha davanti a sè un lavoro molto difficile e chiede lìaiuto dei cittadini nella consapevolezza che si può ancora far molto per evitare che un banale intervento di chirurgia ortopedica possa trasformarsi in una odissea a volte tragica perchè dall’osteomielite non si guarisce.

L’osteomielite cronica

A differenza dei tessuti molli, in cui i sistemi di difesa, sia endogeni(immunità) che esogeni(antibiotici), possono esercitare la loro azione, nel tessuto osseo le infezioni tendono a cronicizzare per l’istaurarsi di un equilibrio tra l’agente patogeno e l’organismo ospite in cui nessuno riesce a prendere un definitivo sopravvento.

Si tratta di una malattia che va al di là della patologia d’organo e che coinvolge tutto l’organismo, domandando, alla struttura che se ne occupa, di mettere a disposizione del servizio che ne cura lo studio e la terapia, operatori di più discipline ben coordinati tra loro o specificatamente formati con conoscenze multidisciplinari, pur con una preponderante visione ortopedico/chirurgica.

In altre realtà europee ciò ha portato alla realizzazione, presso ogni grosso centro ospedaliero/universitario, di appositi reparti dedicati al trattamento delle complicanze settiche post chirurgiche.

In Italia questo non è ancora stato realizzato.

La conseguenza, sul piano prettamente sanitario, è un’assenza di strutture di cui il paziente, di fatto, deve farsi carico, inseguendo, scarsamente informato, chimere e promesse, non sempre ancorate a reali competenze.

La conseguenza maggiore, tuttavia, è sul piano sociale, quindi patologie che potrebbero essere affrontate con risposte, in termini di tempo, spesa e invalidità temporanea e definitiva, non più pesanti d’altre malattie medio/gravi, decisamente dirompenti sul paziente e sulla famiglia.

L’esempio più frequente, una pseudoartrosi infetta di un segmento diafisario, che , opportunamente trattata, può, nella maggior parte dei casi, risolversi con tre/quattro interventi ed una degenza tra 60 e 90 giorni in sei mesi, comporta allo stato attuale, in genere, cinque/sei interventi, otto mesi di ricovero in tre ospedali diversi, a volte a 1500 chilometri da casa, per un totale di trattamento di due o tre anni.

Un altro caso tipico, la suppurazione intervenuta in un impianto protesico, ha tempi e modi simili, con l’aggravante di insistere su pazienti spesso ultra settantenni, incapaci, per varie ragioni, di autogestirsi o, comunque, di interagire in modo energico con le realtà che stanno attraversando.

Anche sui costi,sia sociali che direttamente sanitari, inoltre vi è un netto divario tra ciò che si potrebbe ottenere con un’organizzazione ottimale e quanta di fatto ossevato allo stato attuale.

Secondo una stima cauta si potrebbero risparmiare dai tre ai venti milioni per caso trattato, in media cinque milioni per ognuno dei 15.000 casi di infezione osteoarticolare che si verificano ogni anno, 75 miliardi, il costo di tre/quattro strutture specializzate, una per ogni macroregione italiana.

Parte del problema trova la sua origine nel modo di gestire la sanità in Italia: ogni singola azienda sanitaria locale ha un numero di casi in un anno (meno di uno su diecimila abitanti) troppo basso per avere un peso “politico”, e la direzione aziendale è troppo legata, politicamente alla “ricaduta” politica delle proprie scelte perchè senta l’importanza di farsi carico di un problema nazionale o macroregionale.

Questo è vero per tutte le patologie che richiedono reparti ad altissima superspecializzazione e che si rivolgono a patologie non rare ma ad impatto medio-basso per numero e fascino mediatico.

Per questo dovrebbe essere lo stesso ministero ad avocare a se l’organizzazione, e la gestione di quelle strutture dal cui ottimale funzionamento possono e devono derivare ricadute economiche, sociali, scientifiche, culturali, benefiche per tutta la nazione, specialmente ora che nello stesso dicastero convergono le responsabilità delle conseguenze sanitarie e sociali del mancato benessere del cittadino.